Verso
la Costituzione Europea.
Una cittadinanza per soggetti differenti
Maria
Grazia Campari
Associazione GIUdIT
L'idea moderna
di cittadinanza include, in linea di principio, tutti i membri della collettività
senza distinzione di razza, sesso, religione, condizioni sociali, scelte
politiche, propensioni sessuali e quant'altro.
La collettività dei cittadini si regge con proprie leggi che formano
l'ordine giuridico condiviso, essa afferma l'eguale condivisione dell'attività
e dei poteri fra tutti i suoi componenti. Chi ne è escluso, pertanto,
non ha la possibilità di autorappresentarsi come cittadino. Non
è soggetto di cittadinanza poiché il godimento di uguali
diritti passivi (come quello di votare) sfiora il problema, eludendo l'essenziale
che è costituito dalla partecipazione integrale attiva agli affari
pubblici.
Vi sono regole
nella vita sociale che riguardano tutti, quindi fondamentale garanzia
di libertà è la partecipazione alla elaborazione di quelle
regole.
Partecipare alla creazione e alla gestione delle regole che presiedono
al vivere associato, produrre autonomia, sottrarsi all'eteronomia della
regola prodotta dall'altro sulla sua misura considerata come unica, consente
di riconoscere in queste regole (almeno parzialmente) una propria riflessione,
quindi darvi un'adesione almeno parziale (I. Young).
Un sistema
politico democratico dovrà, quindi, curare che le persone non partecipino
solo come votanti, ma come agenti delle proprie esperienze, ragioni e
desideri, come responsabili delle decisioni collettive.
La democratizzazione delle istituzioni è l'esito di procedure di
allargamento nella discussione e nella decisione collettiva circa i fini
e i mezzi che una società si propone.
Essa, quindi, suppone la riorganizzazione delle regole che attengono al
processo decisionale (R.Dworkin)
Abbiamo spesso
riflettuto sulla grande distanza che separa la maggior parte delle donne
dai luoghi del potere politico/economico e dalle istituzioni definite
rappresentative.
Abbiamo individuato nella situazione un deficit di democrazia e anche
un pericolo grave e ricorrente di erosione di uno stato minio di cittadinanza,
intesa, appunto, come possibilità di partecipazione a pieno titolo
ai processi decisionali che investono i soggetti della polis.
La situazione
attuale manifesta, purtroppo, assetti assai lontani da quelli ritenuti
desiderabili.
Nelle società contemporanee constatiamo l'esistenza di una piramide
gerarchica patriarcale/mercantile che produce disparità nel diritto
di cittadinanza e alimenta situazioni di monopolio maschile del discorso,
dell'economia, della politica. Tutto il contrario di una (auspicabile)
politica relazionale che, valorizzando le soggettività, contrasti,
in forma collettiva, le tensioni del mercato verso la mercificazione degli
esseri umani.
Sottoponiamo
la questione ad un esame più preciso, riferito al progredito mondo
occidentale.
Occorre partire quantomeno dal 1995 e dai punti fermi acquisiti nella
Conferenza ONU di Pechino.
Da allora, i governi di molti Paesi hanno ripetutamente dichiarato di
considerare fondamentale (non fosse altro, come atto di giustizia) la
presenza delle donne nei luoghi sociali e nelle istituzioni della politica
rappresentativa.
Si sono susseguiti impegni dell'Unione Europea nella dichiarazione conclusiva
della stessa Conferenza, la Carta di Roma del maggio 1996, la Raccomandazione
del Consiglio dell'Unione del dicembre 1996, le proposte di parlamentari
(soprattutto francesi) della precedente legislatura tendenti a ridefinire
la Carta d'Europa con un Preambolo impegnativo rispetto alla paritaria
partecipazione di donne e uomini alle istituzioni e agli organismi politici.
Propositi non mantenuti e silenziosamente fatti slittare in un vetusto
e inefficace orizzonte di quote. Mentre si trattava, all'evidenza, della
rimozione di un interdetto penalizzante, fastidioso, nella sua iniquità
per tutti, anche per le donne che non sono direttamente interessate ad
una presenza nei luoghi istituzionali della politica, preferendo intervenire
in ambiti diversi della società civile.
Agli inizi del nuovo millennio, si è ancora costrette a registrare
l'esclusione delle donne dalla scena politica istituzionale e dall'esercizio
effettivo della cittadinanza (intesa nel senso già detto di creazione
delle regole del vivere associato)
A questo disconoscimento la Carta Europea approvata a Nizza dà
un apporto significativo nel Preambolo e nel Capitolo sulla cittadinanza.
Manifesta, infatti, la totale mancanza (appunto nel Preambolo e nel capo
V) di una ridefinizione della cittadinanza europea come cittadinanza plurisoggettiva.
Le donne, la metà del genere umano, risultano, invece, collocate
nell'elenco degli svantaggiati da tutelare rispetto alle discriminazioni,
previsione priva di senso e dimostratasi storicamente inefficace anche
rispetto ai suoi limitati obiettivi.
Oggi la speranza
(infondata?) sarebbe che la Costituzione Europea in fase di avanzata elaborazione
potesse superare simbolicamente, negli enunciati formali, le contraddizioni
di Costituzioni precedenti, imperniate sulla misura unica del soggetto
maschile.
A questo
proposito, il riferimento obbligato è, in Italia, agli articoli
2, 3 e 29 della nostra Costituzione.
Nei suoi enunciati la pari dignità sociale e l'uguaglianza dei
cittadini singoli e/o associati nelle forme da loro liberamente determinate
(artt. 2 e 3) incontra un ostacolo palese nell'art. 29 che norma l'istituto
della famiglia definendola come pilastro del vivere associato ed esplicitamente
determinando che l'uguaglianza morale e giuridica fra i soggetti dei due
sessi (i coniugi) possa essere limitata in favore dell'istituto famigliare.
La preminenza è attribuita non alle persone, ma ad una istituzione
privata formalizzata, tanto che le donne appaiono detenere un certo numero
di diritti piuttosto in base al loro statuto famigliare che non in base
alla loro qualità di individui.
L'espressione (pudica) in realtà definisce il sesso (maschile)
di chi detiene la decisione ultima, quindi il titolo a rappresentare i
componenti di questo nucleo basilare nella comunicazione verso il sociale.
La misura dell'uguaglianza affermata nel patto sociale costituente (concluso
fra uomini anche per conto delle donne) appare tutta pensata sul metro
maschile: ne è spia significativa il fatto che per le donne essa
non è incondizionata, ma, appunto, condizionata dall' apparte nenza
all'istituzione sociale cardine, la famiglia.
Tuttavia,
i diritti fondamentali non possono essere condizionati: o sono incondizionati
oppure non sono.
Appare allora, come nell'ordinamento giuridico vigente in Italia l'uguaglianza
fra i soggetti dei due sessi e la rappresentanza plurima non siano date,
neppure in linea di enunciazione formale.
Come le femministe hanno ben chiarito, il personale e il politico si tengono
inscindibilmente. Esiste, cioè, un nesso di interdipendenza, una
relazione di circolarità fra i due poli in cui si gioca la vita
di ognuno, il privato e il pubblico.
Mi sembra, allora, che la ricaduta sia questa: l'unità /unicità
che è garantita verso il sociale dall'istituzione famigliare nella
nostra Costituzione nazionale, significa appartenenza delle donne ad una
aggregazione che vede come delegato permanente il solo soggetto maschile.
Questo dato è, a mio parere, importante per comprendere l'asimmetria
sessista in campo politico: un ostacolo, una ineffettività della
rappresentanza per il genere femminile.
Dall'unicità del soggetto delegato alla comunicazione nel sociale,
dalla dignità costituzionale attribuita ad una istituzione monocratica
esplicitamente esclusa dalla dichiarazione di uguaglianza , consegue una
ricaduta sui diritti di cittadinanza che sono, fra donne e uomini, palesemente
asimmetrici e, per le donne, incompiuti.
La progettata
costituzione Europea mostra, a sua volta, parecchi punti critici.
L'art. 6 che tratta il tema della discriminazione, appare estremamente
riduttivo e dovrebbe quantomeno recepire i contenuti dell'art. 21 della
Carta varata a Nizza.
L'art. 7 che tratta della cittadinanza mostra anch'esso parecchi limiti
e potrebbe essere integrato dalla seguente previsione:
"Ogni persona residente da almeno cinque anni nel territorio dell'Unione
ne acquista la cittadinanza, conseguendo diritto di voto e eleggibilità.
Ogni persona residente nel territorio dell'Unione ha diritto di cercare
lavoro, di lavorare, di prestare servizio e di stabilirsi in qualunque
Stato membro alle stesse condizioni dei cittadini di quello Stato.
Qualsiasi persona residente nell'Unione gode nel territorio di un Paese
terzo nel quale lo Stato membro di sua residente non sia rappresentato,
della tutela delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi
Stato membro dell'Unione alle stesse condizioni dei cittadini di detto
Stato."
Inoltre,
l'art.33 sul principio di uguaglianza democratica dovrebbe prevedere che:
"l'Unione riconosce il diritto fondamentale all'uguaglianza di statuto
della donna e dell'uomo in tutte le sfere della vita politica e sociale.
Le autorità pubbliche dell'Unione hanno l'obbligo di adottare misure
speciali miranti ad accelerare la partecipazione paritaria delle donne
e degli uomini alle istituzioni e agli organismi politici.
Tutti i cittadini dell'Unione partecipano paritariamente alla vita politica."
Questi concetti
hanno fatto parte del dibattito parlamentare nella legislatura precedente
all'attuale, sono stati recentemente riproposti in forma di emendamenti
della Carta da parte di organizzazioni europee di donne (tra esse l'associazione
di giuriste EWLA) e ritornano nella dichiarazione di Atene ( 31 marzo
2003) della rete di Commissioni Parlamentari per l'uguaglianza di opportunità
fra donne e uomini nell'Unione Europea.
Il pensiero
sottostante è sempre quello.
Non pare lecito parlare di democrazia e di diritti universali finchè
l'universalismo si incentra sull'uno ed esclude l'altra.
Questo tipo di universalismo escludente crea strutture piramidali e periferie
di umanità, che sono la negazione della cittadinanza e dei diritti
condivisi.
E' un ossimoro. Afferma diritti universali, ma nell'affermarli li nega
poiché li modella sulla sola misura del cittadino maschio europeo/occidentale.
Come molte,
resto convinta che ai margini delle istituzioni sia possibile creare nuovi
spazi che le regole istituzionali non avevano previsto. Che un nuovo ordine
possa essere creato consumando e riarticolando il vecchio.
Un esempio
per me significativo.
In alcuni casi, i movimenti dei migranti che, raggiunta l'Europa, hanno
sentito sopra di se l'oppressione dell'imperialismo culturale sono riusciti
a politicizzare la cultura, attaccando gli stereotipi e le regole tendenti
alla loro assimilazione. Hanno così affermato la positività
della loro esperienza e dei loro valori, rifiutando la pura omologazione
ai valori dominanti.
Hanno contribuito a smascherare quel tipo di oppressione che consiste
nel vedere come deviante chi è diverso.
Questi movimenti
politici possono contribuire a modificare istituzioni e pratiche prima
accettate acriticamente, e provocare un dibattito su come riorganizzarle.
Possono concorrere alla costruzione di una democrazia plurale che si avvantaggia
di percorsi, pensieri, relazioni che trovano radici e possibilità
di crescita in diverse esperienze di vita.
Un altro
nodo di questa rete.
Sulla linea della frattura dell'esistente si colloca anche il pensiero
e la pratica politica di donne, consapevoli di essere attualmente l'altro
della cittadinanza, quindi agente primario della modificazione dell'ordine
che le confina nel privato, al servizio della famiglia, imponendo la pervasività
del controllo sociale sul loro corpo/mente , la negazione dello spazio
pubblico.
Questo ordine
che divide il mondo in privilegiati ed esclusi va scompigliato, modificato
in profondità.
In questo ordine occorre provocare disordine.
Attraverso il disordine dell'esistente si può tentare di produrre
un ordine che preveda la connessione fra diversi che si mantengono tali
e che dalla diversità interloquiscano, procedendo attraverso successive
e più avanzate mediazioni, invece di inglobare/colonizzare l'altro
da sé in una fusionalità omologante che lo nega e lo distrugge.
Quindi, per
gli spiriti critici e in particolare per le donne è tempo di affermare
la necessità di dismettere l'adesione subalterna all'ordine dato,
che provoca catastrofi alla comune umanità.
E' tempo di far venire al mondo un soggetto politico complesso che tenti
la creazione di un ordine nuovo capace di riconoscere e mettere costruttivamente
all'opera le differenze attraverso metodi che favoriscano l'azione di
uno sguardo molteplice sull'esistente per uno sviluppo autocritico della
società. Un esito che è, a mio parere, interesse e responsabilità
delle femministe.
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